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Petri, dopo la morte tante lettere dai carcerati. E la famiglia dona un defibrillatore alla casa circondariale

Solidarietà in memoria dell'agente ucciso dalle Nuove Brigate Rosse. Venti anni fa, dopo la tragedia, da tutta Italia arrivarono alla famiglia e alla Polizia tante missive con il cordoglio dai carcerati italiani e stranieri che colsero tutti di sorpresa

Le lettere arrivavano da tutta la Penisola: erano firmate da detenuti italiani e stranieri che volevano esprimere la loro solidarietà alla famiglia Petri e alle forze dell'ordine per la morte di Emanuele. Il sacrifico dell'agente della Polfer che il 2 marzo del 2003 perse la vita per mano delle Nuove Brigate Rosse - permettendo però che venisse smantellata anche l'ultima cellula dell'organizzazione terroristica - colpì molto le persone che si trovavano nelle strutture carcerarie. E le parole scritte in quelle missive commossero sia la famiglia sia la polizia. A 20 anni di distanza, il ricordo di quei pensieri, scritti spesso di getto e in balia dell'emozione, non si è affievolito e così oggi, in memoria di Emanuele, la famiglia Petri e l’associazione “Emanuele Petri” hanno donato un defibrillatore alla Casa Circondariale di Arezzo. 

Il ricordo di Alma: "Quelle strane telefonate dei colleghi, solo dopo capii che Emanuele era morto"

Ma non è tutto, perché c'è una storia nella storia. E' quella di due ragazzini che tanti anni fa giocavano su un campo da calcio di Saione. Calci al pallone, scherzi e la spensieratezza dell'infanzia. Poi il tempo è volato e sono diventati adulti. Le loro strade si sono divise, uno è diventato medico, l'altro, Petri, poliziotto. L'amico si chiama Stefano Tenti, ed oggi è direttore sanitario del Centro Chirurgico Toscano. Venuto a conoscenza del dono che era stato pensato per il carcere, ha pensato di sostenere l'associazione acquistando (con Sapra e Centro Chirurgico Toscano) un elettrocardiografo di ultima generazione. 

Il carcere aretino, grazie a questa donazione, si può adesso considerare cardio protetto. In memoria di quell'agente che anche il cui sacrifico rimase impresso nel cuore dei detenuti italiani. 


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