Tunia, il vino naturale di Chiara e Francesca. Molta grinta e un po' di follia
Mollare tutto e investire in un sogno. Un salto nel buio, un’avventura che molti desiderano. Pochi, poi, hanno il coraggio di intraprenderla. Alcuni la definirebbero follia, forse con l’amarezza di chi ha preferito non rischiare. Ma la parola...
Mollare tutto e investire in un sogno. Un salto nel buio, un’avventura che molti desiderano. Pochi, poi, hanno il coraggio di intraprenderla. Alcuni la definirebbero follia, forse con l’amarezza di chi ha preferito non rischiare. Ma la parola giusta è “determinazione”. Francesca e Chiara hanno frequentato l’università a Pisa negli stessi anni per poi ritrovarsi una dipendente di una cantina come enologa, l’altra impiegata in banca. Nella testa si faceva spazio un progetto. Troppo giovani ed entusiaste per far svanire il loro sogno con un sospiro e una scrollata di spalle, si sono messe alla ricerca della loro tenuta, ovunque essa fosse. E l’hanno trovata a Civitella in val di Chiana nel 2008. L’anno successivo si è svolta la prima vendemmia.
Il nome dell’azienda, Tunia, deriva dal principale dio del pantheon etrusco, in segno di legame antico e rispetto della terra aretina. “Non è facile essere donna in un mondo, come quello agricolo, dominato dagli uomini. In vigna ed in cantina si fa fatica non poco a farsi ascoltare. I primi tempi che organizzavamo eventi e degustazioni, gli ospiti si complimentavano con il fattore credendo che fosse il titolare mentre pensavano a noi due come a delle hostess scelte per l’occasione”.
Ma gli ostacoli sono stati solo uno stimolo nel loro percorso. Il preciso intento di Tunia è quello di lavorare “secondo natura”, mettendo a frutto gli studi di viticoltura ed enologia e accettando la sfida di non manipolare artificialmente i prodotti della terra; né in maniera meccanica né chimica. In questo modo si mantengono – il più possibile – le caratteristiche di partenza dell’uva. Anche lo spumante metodo classico è realizzato senza aggiunta né di zuccheri né di lieviti esogeni.
Facendo un po’ di chiarezza, i solfiti hanno una funzione antimicrobica e antiossidante. Il disciplinare europeo stabilisce i limiti del loro utilizzo tenendo conto anche delle zone climatiche molto diverse e, per i vini biologici, le dosi sono di poco inferiori.
“Sottolineiamo comunque che nei nostri vini la quantità massima di solforosa totale è inferiore ai 20 mg/l a fronte di un disciplinare europeo che ammette, per i vini biologici, fino a 150 mg/l. Di fatto la normativa per il vino biologico – continuano Chiara e Francesca – con le restrizioni ridicole che ha, invece che essere garanzia di prodotti più genuini non fa altro che far sembrare ‘meno chimici’ molti vini convenzionali”.
Il vino forse più noto dell’azienda è il Chiarofiore: servono ben quattro vendemmie, ognuna con relativa vinificazione, per assemblare un vino bianco di inconfondibile personalità, diverso da ogni altro. Il trebbiano, l’uva prevalente in questo vino, viene in parte raccolto anticipatamente per fornire la giusta spalla di acidità, in parte a perfetta maturazione insieme al vermentino; infine in vendemmia tardiva, quando già l’uva accresce il suo grado zuccherino e viene attaccata dalle muffe nobili. Le quattro parti vengono vinificate separatamente.