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La crisi ad Arezzo morde ancora. Non per tutti, ma per molti

Dal 2008 a oggi è stata una carneficina. Ad Arezzo, regno del superfluo, più che altrove. L'oro è diventato difficilissimo da vendere e tutti quei catenisti spiccioli che avevano poca arte in mano se ne sono andati insieme a tanti industriali e...

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Dal 2008 a oggi è stata una carneficina. Ad Arezzo, regno del superfluo, più che altrove. L'oro è diventato difficilissimo da vendere e tutti quei catenisti spiccioli che avevano poca arte in mano se ne sono andati insieme a tanti industriali e commercianti dell'abbigliamento, nonché a tutti i costruttori edili di un tempo.

Qualche ristorante in più e il famoso terziario legato ai computer e ai servizi alla persona non hanno certo compensato le perdite. Le perdite di aziende e insieme, e anche di più, di posti di lavoro per la manodopera meno specializzata, che è poi la maggioranza.

Oggi chi è sopravvissuto grazie all'ingegno, alla capacità di vendersi all'estero e di riconvertirsi, dice di vedere la luce in fondo al tunnel, una buia galleria dove sono rimasti i cadaveri della nostra Banca e delle nostre aziende maggiori (con poche eccezioni).

Ma chi non vede ancora il sole, pur non essendo morto, sono gli ex lavoratori e quei giovani che si affacciano al mondo del lavoro che non c'è; che continua a non esserci perché le aziende sopravvissute si guardano bene, e comprensibilmente, dal caricarsi sulle spalle dei lavoratori a tempo indeterminato.

Così si parla di ripresa in una città (e in un'Italia) che per le strade ha ancora una miriade di zombie e di precari senza la salvezza dei quali non si può ragionevolmente parlare di fine del tunnel.


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