Cucina

Acquacotta: la zuppa dei pastori arrivata ad Arezzo dopo la transumanza

La ricetta annovera una miriade di varianti ed è molto diffusa in ogni angolo della Toscana

Sicuramente non stiamo parlando di un piatto primaverile. No, per nulla. L'acquacotta è una pietanza da notti fredde e oscure dove il vento gelido dell'inverno spazza le valli e schiaffeggia le colline. Robusta, morbidissima e rassicurante. Una zuppa che, anche con tutto l'impegno del mondo, non può essere preparata il 15 agosto. (E' da matti!). Allora perché proporla in pienissima primavera? Perché è vergognosamente buona e poi originariamente, veniva consumata soprattutto in questo periodo dell'anno.

La storia del piatto si perde (che ve lo diciamo a fare) nei meandri della storia. Si tratta di una preparazione trasversale, mutevole, creativa, che attraversa la Toscana da nord a sud, da est a ovest, per arrivare poi in "quel de 'Rezzo". Volendo geolocalizzare l'edizione zero dell'acquacotta, ecco che arriviamo in Maremma. Secondo esperti e storici i butteri sarebbero i padri putativi di questa meraviglia preparata spesso all'aperto durante la transumanza. Poi però, la povertà degli ingredienti (facili da rintracciare ovunque), la semplicità di esecuzione e il suo robusto apporto calorico, hanno permesso una diffusione rapida tra tutti coloro che lavoravano come pastori o taglialegna in giro per buona parte dell'anno. Ciascuno è convinto di custodire la vera ricetta ma, di fatto, una versione univoca non esiste. Trattandosi di una zuppa fatta per soddisfare la fame vera, quella causata da 12 ore di lavoro nei boschi o nei pascoli, annovera una miriade di varianti negli ingredienti che è impossibile starvi dietro senza risulate ingenerosi.

Di seguito proponiamo la versione aretina, coi funghi porcini e il pecorino, invitiamo tutti però ad indagare nei ricettari di famiglia e mettere in tavola la propria personalissima versione. 

Ps. Sì lo sappiamo che il 3 maggio funghi porcini non se ne trovano di freschi. Confidiamo nelle scorte segrete di qualche massaia che, durante l'autunno, avrà avuto cura di seccarli oppure congelarli. 

Ps2. Aspettiamo l'estate per raccontarvi di un'altra acquacotta, quella di Moggiona!

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

La presenza di uovo, formaggio e porcini danno una certa scìa saporosa al piatto che va bilanciata con un vino dalla Pai (persistenza aromatica intensa) importante. Il piatto è poi contrattidistinto da una marcata tendenza dolce (pane, pomodoro, uovo...) e dalla succulenza del brodo. Serve un vino dal buon tenore alcolico, con una struttura adeguata, con persistenza e finezza. In Toscana possiamo puntare su una Doc piccola e di grande qualità come il Bianco di Pitigliano, un vino fermo a base Trebbiano che unisce forza e una naturale eleganza: un vino vulcanico, figlio di pregiati terreni tufacei (come per l'Orvieto Doc) che conferiscono caratteristiche peculiari al nettare di Bacco. Da provare, visto il piatto "povero" ma non certo banale, la versione Superiore che garantisce una minore resa per ettaro (oltre a un tenore alcolico superiore).

Matt.Cial.