Cucina

La magia dell'ocio in porchetta: una ricetta da applausi a scena aperta

Una preparazione facilissima sulla carta ma riservata ad esperte massaie che richiede istinto e capacità

L'ocio in porchetta fa subito festa. Sì, abbiamo fatto la rima di proposito perchè pensare a questo piatto rende gli occhi brillanti, le papille scalpitanti e i cuori scintillanti. Ok, basta con le rime. Però è così, l'ocio (oca domestica per chi se lo chiedesse) è una di quelle pietanze che rendono il pasto un momento di gioia e condivisione. Se poi lo si porta in tavola ben arrostito e porchettato bè, non si può altro che ottenere uno scrosciante applauso. Semplice, semplicissimo, ma fantastico. L'alchimia creata dal pennuto, il sale, il pepe, l'aglio e il finocchio selvatico non teme confronti. Una carne saporita e bella "cicciosa" che i nostri nonni, e i nonni dei nostri nonni, consumavano nelle giornate di grande festa o durante eventi quali la battitura del grano o la vendemmia. Stuole di massaie dopo aver "impillottato" (imbottito, contito internamente, ndr) aie intere di regal pennuti, si dirigevano spietate e bellissime verso i forni a legna dove davano vita alla magia. Cucinarlo è molto facile sulla carta ma, non lasciatevi ingannare, ci vuole occhio ed esperienza per sfornare il perfetto ocio in porchetta.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Un piatto ricco della tradizione merita un vino altrettanto generoso. Anzi, due. Vediamo come può cambiare il nostro calice a seconda che si mangi la porchetta calda, appena sfornata, oppure raffreddata, perché ne è avanzata un po' per il giorno seguente.

OPZIONE 1 - La carne dell'oca toscana è grassa per definizione, i grassi fusi donano all'arrosto una certa untuosità che può aumentare se si bagna la fetta di oca servita nel piatto con qualche cucchiaio di ciò che è rimasto nella taglia. Avremo tendenza dolce della carne, succulenza data dalla masticazione, un po' di untuosità. Un piatto dotato di aromaticità, speziatura e persistenza trainata dai grassi. Una punta di tendenza amarognola, se nel boccone troviamo un po' di finocchio selvatico. La succulenza necessita alcol, l'untuosità un po' di tannino, serve grande acidità per contrastare la tendenza dolce. Il vino dovrà essere persistente in bocca e con una certa ampiezza del ventaglio aromatico: serve un vino giovane e di qualità, rimanendo in Toscana può fare al caso nostro un Rosso di Montepulciano Doc, a base Prugnolo gentile (un clone del Sangiovese).

OPZIONE 2 - Le fette di carne avanzate possono essere servite fredde, magari accompagnate da una salsa. In ogni caso, non avremo più untuosità: i grassi solidificati conferiranno grassezza al piatto. Le altre caratteristiche restano invariate. Per contrastare la grassezza non abbiamo più bisogno di tannino, ma di sapidità, meglio se abbinata all'effervescenza. Via il rosso, dentro le bollicine: un buon alleato può essere uno spumante Durello Lessini Doc.


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